Onorevoli Colleghi! - L'argomento oggetto della riforma che si propone sono gli «usi civici» propriamente detti, gravanti su terre di proprietà di soggetti diversi da quelli titolari dei diritti (cosiddetto demanio feudale) e non quelli gravanti su terre di proprietà delle stesse collettività titolari del diritti, siano comunali o di altri enti (cosiddetto demanio universale o comunale o civico).
      La normativa vigente in materia di usi civici risale agli anni 1927-1928 (legge 16 giugno 1927, n. 1766, e regolamento di cui al regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332) ed è stata integrata con il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, nel quale si impone alle regioni di delegare le funzioni in tale materia ai comuni, nel cui territorio sono poste le terre civiche.
      Per una migliore comprensione della materia si rammenta che esistono, di fatto, quattro tipi di terreni gravati da uso civico:

          di categoria A: terreni a destinazione boschiva e pascoliva, alienabili con autorizzazione regionale;

          di categoria B: terreni a destinazione agricola, ripartiti tra le famiglie di coltivatori diretti, appartenenti alla collettività e assegnati in enfiteusi. Sono alienabili solo dopo l'affrancamento;

          non assegnati ad alcuna categoria: terreni non alienabili e non usucapibili prima dell'assegnazione a categoria. Eventuali atti di mutamento di destinazione o di alienazione sono nulli;

          la cui occupazione è stata legittimata: una minoranza di fondi appartenenti ai comuni o ad altre collettività, la cui occupazione abusiva è stata consentita legalmente con l'imposizione di un canone

 

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di natura enfiteutica. Essi sono liberamente alienabili.

      È fuor di dubbio che gli usi civici non abbiano più, nella società moderna, il valore sociale che era alla base della loro istituzione e costituiscano un vincolo immotivato e anacronistico ad attività imprenditoriali e private imposte dall'attuale situazione dello sviluppo economico e dal diritto alla realizzazione, per esempio, di abitazioni di edilizia popolare ed economica, che rappresenta un moderno concetto di uso civico.
      Né vale l'argomentazione che il mantenimento degli usi civici scongiuri l'uso indiscriminato del territorio; altre norme e altri vincoli hanno oggigiorno questa funzione.
      A questa valutazione di merito si aggiunga quella relativa alla complicazione burocratica dell'espletamento delle pratiche relative all'affrancamento dei beni gravati da uso civico, che rende ancora più anacronistico il mantenimento dell'istituto, in un momento storico nel quale la semplificazione burocratica e amministrativa sta entrando, anche se a fatica, nella prassi dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini.
      Le regioni ben raramente hanno applicato il disposto citato che prevedeva la devoluzione ai comuni delle competenze in materia di usi civici. Solo la regione Abruzzo è stata pioniera in questo campo (legge 3 marzo 1988, n. 25), introducendo la declassificazione e la convalida di atti invalidi, norme ritenute corrette dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto sostanzialmente legittimo il principio che tali beni possano essere considerati commerciabili e alienabili secondo il diritto comune.
      È, perciò, ormai urgente fare chiarezza, eliminare le norme anacronistiche, semplificare le procedure e, soprattutto, devolvere «quel che resta» degli usi civici ai comuni, che sono le sole amministrazioni in grado e in diritto di valutare e decidere in materia.
      Gli scopi della presente proposta di legge sono, quindi, essenzialmente:

          l'affidamento della competenza sugli usi civici al comune, che diventa pertanto il livello amministrativo legittimato a sopprimere, mantenere e regolamentare l'istituto sul proprio territorio;

          l'accertamento in tempi brevi dei diritti collettivi ancora vantati;

          la legittimazione, a discrezione del comune, delle situazioni pregresse, verificatesi anche in deroga alla legislazione vigente, caratterizzate da assenza di dolo;

          la soppressione dei commissari agli usi civici, attribuendo la funzione giurisdizionale al giudice ordinario, in ossequio a quanto disposto dall'articolo 102 e dalla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, che prescrivono il divieto delle giurisdizioni speciali e la revisione di quelle esistenti.
      Nella proposta di legge, l'articolo 1 definisce le finalità della legge; l'articolo 2 stabilisce le competenze della regione e, soprattutto, del comune, che diventa, a tutti gli effetti, il titolare delle competenze in materia; l'articolo 3 disciplina in tempi certi (un anno) il censimento dei diritti ancora legittimamente pretesi; l'articolo 4 detta norme in merito alla legittimazione di usufrutti abusivi; l'articolo 5 precisa la validità degli atti di legittimazione di usufrutto di beni civici, nei casi di non rispetto dei termini da parte degli aventi causa ed, inoltre, l'inammissibilità di legittimazione di usi civici relativi a particolari terreni (cave e risorse minerarie); l'articolo 6 stabilisce l'entità dei canoni e il loro affrancamento; l'articolo 7 sopprime i commissari ed elimina le promiscuità di diritti tra comuni diversi; l'articolo 8 stabilisce che il contenzioso è regolato dal codice civile e devoluto al giudice ordinario; l'articolo 9, infine, elenca le norme abrogate e fissa l'entrata in vigore della legge.

 

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